Ecco come nel 2019 è possibile porvi rimedio

Negli ultimi 10 anni il guadagno dei dentisti è calato drasticamente e nel contempo sono cresciute le spese, decretando una diminuzione ulteriore degli utili per lo studio.
Alberto Libero, segretario sindacale ANDI afferma: “I dati resi noti dal ministero delle Finanze dimostrano che i dentisti sono tra le attività professionali che fatturano di più”.
E ancora: “Altro dato significativo, paragonato alle altre realtà professionali, è il divario tra fatturato e reddito: la conferma che la nostra attività ha un costo di esercizio molto elevato.”
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Basti pensare che, dai dati pubblicati, mediamente un dentista fattura poco meno di un notaio – ma alla fine non ottiene i 310 mila euro netti che in media guadagna quest’ultimo.
In Italia i dentisti sono tra le categorie più tartassate arrivando al punto di lavorare i primi sei mesi per pagare le imposte e iniziare a guadagnare dal settimo in poi (quando va bene).
A questo scenario non certo confortante, si aggiunge la minaccia del turismo dentale low-cost che erode di anno in anno ingenti fette di mercato grazie a promesse spregiudicate che arrivano anche ad ingannare i pazienti che, purtroppo, non sempre hanno gli strumenti per giudicare le competenze dei medici e delle strutture alle quali si affidano.
Infatti, in mancanza di altri termini di paragone, i pazienti sono costretti a giudicare dalla parcella, dal prezzo finale e non dalla qualità degli interventi.
Per questo c’è la necessità di fornire alle persone dei metri di giudizio oggettivi per scegliere a chi affidarsi e uno di questi è la specializzazione.
Chi è specializzato in una determinata tecnica, diventa un’autorità in quel campo, e come tale si differenzia da tutti gli altri dentisti generici della zona.
Ad esempio, i dentisti esperti in chirurgia rigenerativa ossea non devono e non possono temere la concorrenza delle cliniche low-cost e questo semplicemente perché hanno raggiunto un’autorità che nessuno può rubargli.
Questa specializzazione è importante soprattutto in Italia, una paese con una popolazione tendenzialmente “avanti con l’età”, dove, prima o poi, un buon numero di persone necessiterà di un impianto dentale.
Ad oggi, i dentisti che non eseguono interventi, anche piccoli, di rigenerativa potrebbero non preoccuparsi di perdere pazienti, ma in realtà dovrebbero: il giorno in cui saranno costretti ad abbassare i prezzi o in cui si accorgeranno del “fuggi fuggi” dallo studio, sarà troppo tardi…
Quando accadrà verrà loro voglia di ritoccare i listini, ma si tratta di una strategia fallimentare, una gara al ribasso, una guerra tra poveri dove spesso si esce perdenti perché ci sarà sempre chi li abbasserà di più, spingendosi oltre l’insostenibile.
Per il Segretario AIO Salvatore Rampulla i dati del So.Se. dimostrano come un aumento di fatturato, e quindi di pazienti, non sempre corrisponde ad un aumento del guadagno per l’odontoiatra.
“Da tempo sostengo” spiega il Segretario Aio “che è in atto un tentativo di lavaggio di cervello agli odontoiatri. Non è vero che convenzionandosi, riducendo le tariffe, gli studi si riempiranno di pazienti. È un modo per spingere i dentisti ad accettare convenzioni varie, che prevedono forti riduzioni tariffarie per far decollare un sistema che vede il dentista mero esecutore e non più protagonista del piano terapeutico”. L’unico modo per battere la crisi è quindi “di investire sulla qualità e di migliorare il tempo, nella qualità e nella quantità, che dedichiamo al paziente. Solo così continueremo a essere pienamente protagonisti della nostra professione e della nostra dignità”.
Il presente articolo vorrebbe cercare di offrire una panoramica sulle possibilità e sulle aspettative ottenibili dall’uso delle principali soluzioni per la chirurgia rigenerativa ossea in odontoiatria grazie ad punto di vista preferenziale dato da una posizione privilegiata nel mondo delle aziende di biomateriali, ma prima di ciò, è necessario parlare di quella che, probabilmente, è la prima grande bugia che viene tramandata nel settore rigenerativo dentale, ovvero che le ferite guariscano tutte nello stesso modo.
Esistono infatti alcuni pazienti che, per il fatto di assumere particolari farmaci (ad esempio i bifosfonati o gli anticoagulanti), presentano ferite che guariscono con maggior difficoltà e necessitano quindi di alcuni particolari aiuti, come ad esempio i fattori di crescita ematici.
I concentrati piastrinici, infatti, accelerano fino al 300% la guarigione della ferita. Ma se si possono ottenere questi vantaggi in situazioni non convenzionali, perché allora non servirsene anche con i pazienti che non presentano tali criticità?
Studi recenti hanno dimostrato che l’utilizzo di plasma ricco di piastrine, aumenta la proliferazione dei micro vasi già nelle prime fasi della guarigione e contemporaneamente si attua una funzione chemiotattica nei confronti di altri processi; a ciò va aggiunto il fatto che utilizzare il concentrato piastrinico aiuta sensibilmente il decorso post operatorio del paziente.
Essenziali nella chirurgia rigenerativa ossea in odontoiatria sono i biomateriali, ovvero i tessuti che vengono inseriti nella bocca del paziente per facilitare l’innesto di impianti e la riparazione del danno ove manchi tessuto osseo.
Il mercato ne offre vari e l’uso di uno invece che un altro, può modificare l’esito dell’operazione.
E’ infatti importante che un biomateriale sia biocompatibile, cioè che formi legami con il tessuto osseo del paziente, che sia bioriassorbibile, cioè che si degradi e venga riassorbito in modo controllato dal tessuto circostante e che tutto ciò avvenga mantenendo l’innesto stabile volumetricamente.
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Alla domanda su quale sia il miglior biomateriale, l’unica risposta possibile è banalmente “dipende dal punto di vista”.
La scelta migliore, caldeggiata anche in letteratura per la sua totale biocompatibilità, è l’osso autologo che ha però un aspetto negativo non di poco conto: richiede un intervento chirurgico sul paziente per l’asportazione del materiale (solitamente dall’anca o dal mento).
Esistono però casi particolarmente complicati per cui ricorrere all’osso autologo è l’unica alternativa possibile.
Nell’immediato, la criticità maggiore è la difficoltà dell’operazione chirurgica che per altro potrebbe richiede il supporto di una struttura ospedaliera e di uno staff dedicato.
E questo quando si sono fatti tutti i calcoli corretti, quando tutto va bene: ma cosa succederebbe nel caso in cui si dovesse ripetere, per qualsiasi ragione, l’intervento odontoiatrico? Bisognerebbe affrontare un nuovo intervento chirurgico per il prelievo di altro osso autologo e tutto ciò, evidentemente, a svantaggio della credibilità dello studio e della “tenuta psicologica” del paziente.
A lungo termine invece, data la difficoltà di far accettare al paziente questo tipo di cura, avremo una sostanziale ripercussione negativa: questo approccio porterà lo studio ad effettuare molti meno interventi di quanti sarebbero nelle sue possibilità.
Nei casi in cui il trapianto autologo non sia indispensabile, è molto più comodo utilizzare altri tipi di biomateriali che garantiscono risultati comparabili in termini di guarigione, ma senza le difficoltà dell’intervento chirurgico di prelievo d’osso autologo.
Iniziamo quindi ad analizzare le principali tipologie di materiali partendo da quelli sintetici.
L’utilizzo dei sintetici non biologici (alloplastici) è nato per sopperire al fatto che alcuni tessuti animali – se non adeguatamente trattati – possono trasmettere alcune malattie presenti nell’organismo dell’animale.
Di non minor importanza il costo, generalmente inferiore agli altri biomateriali.
Va da sé che per questi motivi, la relativa sicurezza e il minor costo, alcuni odontoiatri preferiscono questa soluzione ad altre.
Purtroppo però queste soluzioni non hanno una elevata predicibilità in termini di tempi di riassorbimento che in alcuni casi possono essere troppo lunghi, in altri troppo brevi.
Oltre a ciò, esistono altre due criticità per questo tipo di materiali:
- Il riassorbimento del materiale;
- Non sarà mai totale;
- Non contribuiscono alla formazione di un nuovo osso vitale;
Gran parte del materiale sintetico resterà nella bocca del paziente senza essere completamente vascolarizzato, e quindi senza trasformarsi in osso naturale ed inoltre la loro struttura cristallina li rende più rigidi e quindi fragili.
Di concezione diametralmente opposta rispetto ai sintetici sono invece tutti i biomateriali di origine animale.
Tali materiali vanno suddivisi, in una prima fase, in base alla tipologia del materiale (suina, equina o bovina) e poi ulteriormente suddivisi in base al tipo di lavorazione (ad alta o a bassa temperatura).
Consideriamo allora il suino e l’equino trattati a bassa temperatura: questi biomateriali hanno una buona riassorbibilità e si trasformano in tessuto umano entro qualche mese, ma il loro principale problema è che non sono molto simili all’osso umano.
Esiste poi l’osso bovino trattato ad alta temperatura: questo biomateriale è molto simile all’osso umano, ma l’abbondante ceramizzazione data dalle alte temperature raggiunte nel processo produttivo lo rende poco riassorbibile: una parte del materiale animale non si trasformerà in osso umano e resterà per sempre nel corpo del paziente.
Tra le tre soluzioni, suino ed equino trattato a bassa temperatura e bovino trattato ad alta temperatura, nessuna è ottimale, benché quest’ultima sia da preferire alle prime due perché presenta una maggior somiglianza strutturale all’osso umano.
Passiamo ora all’ultima tipologia di materiale, l’osso bovino trattato a bassa temperatura. Questa soluzione è da considerarsi quella elettiva, la migliore tra tutte le soluzioni di biomateriali di origine animale attualmente presente sul mercato.
Questa tipologia presenta un’elevata biocompatibilità, una maggior porosità dei granuli rispetto alle altre soluzioni, una miglior stabilità data dal mantenimento del volume e l’assenza di ceramizzazione che implica il totale riassorbimento della materia prima e la conservazione dei principali marcatori dell’osso.
Tali benefici sono unicamente ottenibili dalla processazione a bassa temperatura, unita alla caratteristica intrinseche dell’osso bovino di essere simile a quello umano.
Prima di concludere, va però messa in evidenza un’altra realtà scomoda del mondo dentale, ovvero il fatto che la maggior parte dei produttori sono generalisti, ovvero forniscono biomateriali per ogni tipo di chirurgia rigenerativa, da quella dell’arto animale all’ortopedia per l’uomo alla chirurgia odontoiatrica.
Rivolgendosi a tali aziende si ottengono sempre delle soluzioni parziali, nessuna delle quali fornisce tutto quello che serve per una chirurgia rigenerativa in odontoiatria, ma solo alcune parti della soluzione completa.
Questo implica che nella maggior parte dei casi bisogna servirsi di più fornitori per reperire tutti i materiali di cui c’è bisogno e alimentando un sistema che bada più al proprio orticello, al fatto di non pestarsi i piedi a vicenda, piuttosto che favorire il benessere e l’ottimizzazione dei risultati per i loro cliente, gli odontoiatri.
Esistono però realtà imprenditoriali alternative, minoritarie, che vanno controcorrente come UBGEN che ha creato OTiGEN®, il primo sistema completo di servizi e prodotti che lavorano assieme in modo sequenziale e sinergico in modo da fornire ai dentisti una soluzione unica senza ricorrere a più fornitori generalisti.